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| il progetto | |
| Balistreri | Bentivegna | Martoglio | Piccolo | Puglisi | |
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Lucio Piccolo/la pubblicazione
dal quaderno Parlò, e parlò di poesie, che il tipografo gli doveva stampare. E nei silenzi continuava a parlare; gli affiorava alle labbra un respiro intriso di parole smozzicate, sillabe, suoni, bolle d’un suo discorso interno irrefrenabile. Uscì il barone, ed io, incantato, non rispondevo al tipografo che mi chiedeva i soldi dei libri rilegati e che ora aveva tredici dita e il tredicesimo già gli fioriva, storto, sopra il dorso della terza mano. Questo fu verso la fine del ’53: era morto Stalin, i Rosemberg erano stati assassinati, le acque avevano sommerso la Calabria, in Sicilia la Madonna piangeva al capezzale dell’operaio e per un soffio, alle elezioni, la legge del Poliziotto non scattò. Capii che la nobiltà diversa del barone era la poesia, in lui doppiamente magica. E fastosa sognante maliosa, di preziosa favola, di canto mai sentito. … Nel poeta convivono due anime quella palermitana, spagnola, barocca, delle vecchie chiese, dei conventi, degli oratori, tutta scenografia interna che fa da sfondo alla sua infanzia-adolescenza; e quella messinese, greca, della campagna, della natura, scenografia esterna che fa da sfondo alla sua giovinezza-maturità, ma che egli riduce – è bene dirlo – sempre alla cifra barocca. ... Il mio posto fu per anni su una poltrona davanti al poeta, che sedeva con le spalle alla finestra sempre chiusa, anche d’estate (la luce filtrava fioca nella sala attraverso le liste della persiana). Lì, due, tre volte la settimana si faceva «conversazione», ch’era un lungo monologo di quell’uomo che «aveva letto tous les livres», come scrisse Montale, ch’era un pozzo di conoscenza, di memoria, di sottigliezza, di ironia. da Il Barone magico di Vincenzo Consolo ...................................... Ricevendo al mio istituto una lettera e un cestino traboccante di profumatissimi mandarini e di mimose, inviato dal barone Lucio Piccolo di Calanovella, capii subito che si trattava di un «invito in villa». Ma sapevo anche che sarei stata un succedaneo come l'astragalo, quel sostituto del caffè in tempo di guerra. Perché il caffè desiderato era Montale, «il Maestro», al quale due o tre volte Lucio Piccolo aveva scritto, «con quella sua bella calligrafia baroccheggiante a svolazzi come i suoi versi». … La villa era un dado bianco, semplice, con doppia rampa o gradinata d'accesso ai saloni. Tutt'intorno alcuni ettari di bosco, giardini e laghetti, e non mancava nemmeno il cimitero dei cani più amati, con le tombe contrassegnate dalle lapidi in marmo recanti le fotografie, i nomi e le date di nascita e di morte «delle creature che impropriamente chiamiamo animali». Gli interni erano di antica classica raffinatezza siciliana, naturalmente, con mobili d'intaglio prezioso e ritratti d'antenati. Nel «letto del Gattopardo», io dormii cinque o sei notti negli anni, ma la prima sera, con quel suo tono di reverente e poi presto affettuosa confidenza, Lucio mi fece uno strano discorso. da Un invito in villa di Maria Luisa Spaziani ...................................... È stato come penetrare appunto nel cuore di un mistero, un luogo che altrimenti non è possibile immaginare, neppure con la più fervida delle fantasie private. Il custode infatti, memore degli anni trascorsi insieme ai suoi signori, ai baroni, ha fatto sì che ogni dettaglio tornasse, poco importa se letterario o legato al quotidiano, tornasse a splendere. Sono cose che accadono forse solo in Sicilia, dove raramente la nozione di bene comune è rispettata, compresa. E la storia di Lucio Piccolo, e dei suoi fratelli, il barone Casimiro e la sorella Agata Giovanna certamente lo erano, lo sono. Visto che raccontano qualcosa di remoto. ... da Visita furtiva di Fulvio Abbate ..................................... La Spagna è però il mio vero paese. D’altra parte debbo dichiarare con chiarezza che non mi aspetto risultati importanti da questa mia azione sia perché io sono assolutamente un estraneo al momento attuale (potrei dire nella farsa attuale) anche come Siciliano – sia perché non so quali potranno essere gli umori dello Zio verso di me – non certo di indifferenza o peggio – ma una talquale compiacenza di una lirica ed un poeta da lui stesso definito trascendentale rimangono come in una sospesa atmosfera di rarefazione. … Ecco la lirica «Il forno» e le fotografie col cagnolino per «Domus», la lirica non mi sembra delle più difficili, essa appartiene al ciclo magico – rurale; le figure disperate che sorgono dal fumo hanno forse un lontano senso simbolico come del resto tutte quelle che appartengono alla categoria infantile, ossessioni, sogni, ecc- Il «suolo» invocato all’ultimo sarebbe, fra l’altro, la profondità del nostro io, un io universale, dal quale tutto sorge e svanisce. E del mio caro presentatore don Montale? Sono sicuro che pur non rispondendo alle mie suppliche mi serbi tuttavia la sua affettuosa protezione. da Lettere a Basilio Reale ...................................... Da Poesie e Glose In specie le similitudini musicali denunciano il carattere sontuosamente metamorfico e segretamente iniziatico della natura così come viene percepita e raffigurata da Piccolo. La stessa partitura dei Canti, connotata da un fitto intreccio di rime, assonanze, allitterazioni, e da un raffinato «collezionismo» metrico, dà la misura della squisita, «irreale» musicalità di questa poesia. Una poesia appartata, misteriosa e raffinatissima: decisamente estranea al suo tempo. di Andrea Cortellessa su Scirocco Plumelia, impostata come immagine dipinta e altamente simbolica, suggerisce e in parte cerca di svelare alcuni segnali – variamente interpretabili – che conducono alla percezione di essenze vitali prossime a probabili forme dell’«anima del mondo». di Michele A. Purpura su Plumelia Il protagonista, rifugiandosi fin da bambino nell’alto della torre, sogna di godere di particolari privilegi, di esercitare speciali capacità di dominio: controllare il globo terrestre da un polo all’altro. Il suo rifugio gli appare «vedetta / al comando infantile sull’asse / del mondo», luogo incantato da cui dominare il tempo fermandone il rapido fluire e svelare l’enigma del meccanismo che lo regola. di Michela Sacco su La torre Ecco un singolare Vicerè, magistralmente delineato ad incipit di racconto, quale «burattinesco» interprete di una vita inconsistente, chiuso nei suoi tic di maniacale cura della propria persona, venirci incontro circondato da una corte tanto reale quanto stravagante, che consente al lettore-spettatore di orientarsi nell’orizzonte magico evocato dall’autore. di Flora Di Legami su Le esequie della luna ^...................................... BIBLIOGRAFIA DELLE OPERE
Opere pubblicate postume
Traduzioni
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il documentario |
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